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Washington, 3 aprile 2017 – Il 16% dei pazienti con tumore del polmone trattati con nivolumab, nuovo farmaco immunoterapico, è vivo a 5 anni. Per la prima volta è possibile parlare di sopravvivenza a lungo termine in una delle neoplasie più frequenti, che nel 2016 ha fatto registrare nel nostro Paese più di 41mila nuovi casi. Il dato emerge dallo studio di fase I CA209-003, presentato oggi al congresso dell’American Association for Cancer Research (AACR) in corso a Washington (USA) fino al 5 aprile. Lo studio ha valutato nivolumab in 129 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule avanzato, precedentemente trattati. “Le percentuali di sopravvivenza a cinque anni in questi malati storicamente non superavano il 5%, nivolumab le ha triplicate – spiega il prof. Michele Maio, Direttore Immunoterapia Oncologica e del Centro di Immuno-Oncologia del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena -. Siamo di fronte a un risultato importantissimo, per quanto derivante da uno studio di fase 1, e a un cambiamento epocale. È il primo reale passo in avanti negli ultimi venti anni in una neoplasia particolarmente difficile da trattare. Il 60-70% dei casi è diagnosticato in fase avanzata di malattia. L’unica arma disponibile era rappresentata dalla chemioterapia, poco efficace e molto tossica. E i farmaci a bersaglio molecolare funzionano solo nei pochi casi che presentano specifiche mutazioni genetiche. Dobbiamo ora ‘abituarci’ a gestire numeri più elevati di pazienti con una sopravvivenza inaspettata fino a pochi anni fa, costruendo contemporaneamente strategie terapeutiche che ci permettano di migliorare ulteriormente i benefici a lungo termine”. I pazienti coinvolti nello studio erano pesantemente pretrattati, avevano cioè esaurito le principali opzioni terapeutiche a disposizione. “La sopravvivenza è simile nell’istologia squamosa (16%) e non squamosa (15%) e mostra un vantaggio maggiore nei pazienti con elevata espressione di PD-L1, un biomarcatore – continua il prof. Maio -. Alla luce della tendenza già vista in precedenti studi con farmaci immuno-oncologici, in particolare nel melanoma, è probabile che queste percentuali si mantengano anche negli anni successivi e che quindi si possa in futuro parlare di pazienti vivi a 10 anni anche per una patologia fino ad oggi a prognosi invariabilmente infausta”. Nivolumab è il primo farmaco anti-PD-1 per il quale l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) a marzo 2016 aveva stabilito la rimborsabilità nel trattamento del melanoma avanzato e del tumore del polmone non a piccole cellule squamoso avanzato. Lo scorso febbraio l’agenzia regolatoria ha approvato la molecola anche nel carcinoma a cellule renali e nel tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso avanzato. Ed è recente il parere favorevole espresso dal Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i farmaci (EMA) per l’uso di nivolumab nel trattamenti dei tumori di testa e collo. “Si stanno aprendo prospettive terapeutiche assolutamente interessanti in molte neoplasie – continua il prof. Maio – con le strategie di combinazione e sequenza delle terapie immuno-oncologiche a disposizione e di quelle in fase sperimentale con farmaci diretti contro nuovi bersagli terapeutici”. Il prof. Maio è autore di “Il corpo anti-cancro” (Piemme Edizioni), libro sull’immuno-oncologia che contiene anche testimonianze di molti pazienti trattati con l’immunoterapia. “Alcuni sono molto anziani, over 90 – conclude il prof. Maio -. È la dimostrazione che l’immuno-oncologia può funzionare anche indipendentemente dall’età anagrafica”.