di TIZIANA MORICONI - Repubblica.it
Il Servizio Sanitario Nazionale rende così disponibile l'immunoterapia per il trattamento del carcinoma polmonare avanzato non a piccole cellule, sia in prima sia in seconda linea.
Dopo più di 40 anni, in Italia il trattamento di prima linea per chi riceve una diagnosi di tumore al polmone in stadio avanzato non sarà più la chemioterapia, ma si potrà contare su un approccio personalizzato e sull'immunoterapia. Chi presenta un carcinoma polmonare non a piccole cellule che esprima il biomarcatore PD-L1 potrà infatti accedere a pembrolizumab, una nuova terapia immuno-oncologica.
L'importante novità, che riguarda una larga parte delle oltre 41 mila persone che ogni anno sono colpite da questa neoplasia, arriva con il via libera dell'Agenzia italiana del Farmaco alla rimborsabilità della molecola: è la prima volta che nel nostro Paese un farmaco immunoterapico viene reso disponibile per il trattamento del carcinoma polmonare anche in prima linea. “Il melanoma ha rappresentato il modello per l’applicazione di questo approccio innovativo che ora si sta estendendo con successo a diversi tipi di tumore come quello del polmone, particolarmente difficile da trattare”, spiega Carmine Pinto, presidente nazionale dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom): “È un’arma che si affianca a quelle tradizionali rappresentate da chirurgia, chemioterapia, radioterapia e terapie biologiche. Un passo in avanti verso la sconfitta o la cronicizzazione della malattia. La decisione dell’Aifa conferma l’impegno dell’agenzia regolatoria italiana a supportare l’innovazione in un’area con significativi bisogni clinici insoddisfatti”.
Le evidenze cliniche. Lo studio che ha condotto all’approvazione della molecola in prima linea (su più di 300 persone) ha dimostrato che a un anno il 70% dei pazienti trattati con pembrolizumab è vivo rispetto a circa il 50% con chemioterapia. Sono stati osservati una riduzione del rischio di morte del 40% e una riduzione del rischio di progressione della malattia del 50% nei pazienti trattati con pembrolizumab, ed è risultata triplicata la sopravvivenza libera da progressione di malattia che, a un anno, raggiunge il 48% rispetto al 15% con chemioterapia. “I dati che hanno portato all’approvazione del farmaco, prima negli Stati Uniti poi in Europa, sono ‘rivoluzionari’, perché per la prima volta in oltre 40 anni un gruppo di pazienti ha ricevuto un vantaggio in termini di sopravvivenza in prima linea con una molecola immuno-oncologica al posto della tradizionale chemioterapia”, sottolinea Filippo de Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano: “Con pembrolizumab, inoltre, si amplia il concetto di medicina di precisione: è l’unico farmaco immuno-oncologico basato sulla definizione di un biomarcatore, PD-L1, che permette di scegliere il trattamento ‘giusto’ per il paziente ‘giusto’. In base cioè al livello di espressione di PD-L1 può essere utilizzata l’immuno-oncologia nel modo più efficace, con evidenti risparmi per il sistema sanitario. In particolare il 75% dei pazienti con istotipo non squamoso e tutti quelli con istotipo squamoso in fase metastatica, che oggi in prima linea sono trattati con chemioterapia, potranno trarre importanti benefici dall’immuno-oncologia se rispondono a determinati criteri”.
l ruolo del marcatore PD-L1. È stato dimostrato che pembrolizumab è più efficace della chemioterapia tradizionale quando un biomarcatore, la proteina PD-L1, è espresso a livelli elevati, in misura uguale o superiore al 50% delle cellule tumorali. “E' quindi necessario determinare immediatamente il livello di espressione di PD-L1, cioè al momento della diagnosi della malattia in stadio IV non operabile”, commenta Andrea Ardizzoni, Direttore dell’Oncologia Medica al Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna e Ordinario di Oncologia all’Università degli Studi Alma Mater di Bologna, che aggiunge: “L’immuno-oncologia rappresenta un’opzione importante anche in seconda linea, quindi nel caso in cui la malattia sia in progressione dopo la chemioterapia. Lo studio di riferimento ha infatti dimostrato che pembrolizumab è superiore alla chemioterapia tradizionale usata in seconda linea, quando il tumore esprime livelli di PD-L1 uguali o superiori all’1%. Quindi la molecola funziona anche in condizioni di minore espressione di questo bersaglio molecolare. Senza dimenticare che, grazie all’immuno-oncologia, vi è una percentuale di pazienti più alta che presenta una riduzione del tumore con un conseguente miglioramento dei sintomi e della qualità di vita. Non si può parlare di abbandono della chemioterapia nel trattamento del polmone perché è ancora in grado di svolgere un ruolo preciso. Però oggi abbiamo un’arma in più, l’immuno-oncologia, che in specifiche situazioni può costituire un’alternativa importante al trattamento chemioterapico”.
Gli altri tipi di tumore al polmone. Recentemente la Food and Drug Administration (FDA), l’ente regolatorio americano ha approvato la combinazione pembrolizumab e chemioterapia anche per i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule il cui tumore esprima bassi livelli di PD-L1 o in assenza di PD-L1 (inferiori all’1%). “L’approvazione dell’FDA – dice De Marinis – è molto importante perché evidenzia che la combinazione di pembrolizumab con chemioterapia permette di oltrepassare il limite della negatività di PD-L1”. “Nel prossimo futuro la collaborazione fra oncologi e anatomo-patologi, chiamati a identificare i biomarcatori – aggiunge Mauro Truini, presidente SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica) – diventerà ancora più rilevante. La SIAPEC-IAP insieme ad AIOM è fortemente impegnata per armonizzare i diversi test e renderli fruibili diffusamente nella pratica clinica. È un’area della ricerca di grande interesse, perché potremo incrementare la percentuale di malati in grado di rispondere ai trattamenti in funzione delle caratteristiche della neoplasia da cui sono colpiti”.
Epidemiologia della malattia in Italia e correlazione con il fumo di sigaretta. Negli ultimi anni è cambiato il quadro epidemiologico del tumore del polmone nel nostro Paese. Tra il 1999 e il 2011 l’incidenza di questa neoplasia è diminuita del 20,4% tra gli uomini mentre è aumentata del 34% nelle donne. Un fenomeno strettamente legato all’abitudine al fumo di sigaretta che sta diventando sempre più un vizio “femminile”: il 23% delle italiane è fumatore abituale. “Per troppo tempo è stato considerato una patologia quasi esclusivamente maschile – spiega Stefania Vallone dell’Associazione WALCE (Women Aganist Lung Cancer in Europe) – mentre i nuovi dati evidenziano una forte crescita anche tra le donne, a causa dell’aumento del consumo di tabacco nella popolazione femminile. La prevenzione primaria è uno dei pilastri della nostra Associazione, ma WALCE lavora anche al fine di garantire ai pazienti la possibilità di accedere al trattamento migliore. Purtroppo, la diagnosi del tumore del polmone è ancora tardiva e l’approvazione di questo nuovo farmaco, frutto dell’innovazione che in questi anni ha caratterizzato sempre di più la medicina, rappresenta un passo in avanti decisivo poiché offre alle persone affette da questa patologia la possibilità di avere accesso a nuove terapie in grado non solo di allungare la sopravvivenza ma anche di preservare una buona qualità di vita”.
"Sostenibilità per la sanità pubblica e garanzia di accesso per tutti i pazienti alle migliori cure non sono elementi in contraddizione, se si definisce il perimetro di valore e costo e di reale impatto di innovatività di un farmaco”, conclude Pinto: “L'AIOM, fortemente impegnata per garantire sostenibilità e accesso, ha richiesto e sostenuto un Fondo Nazionale per i farmaci innovativi in Oncologia, che sarà di 500 milioni di euro per il 2017 e che verrà attuato secondo i criteri di definizione di innovatività previsti dall’AIFA”.